Il decoro architettonico. Definizione, limiti e casistiche.
Premesso che quella dell’alterazione del decoro architettonico è sicuramente una tra le questioni in grado di generare più incertezze e contrasti in materia condominiale, occorre innanzitutto partire dalla nozione di decoro architettonico, la cui definizione non esiste nel codice civile ma è frutto dell’elaborazione di dottrina e giurisprudenza.
Il codice civile, infatti, parla del decoro architettonico solo quale limite alle innovazioni condominiali.
L’art. 1120 cod.civ stabilisce che, con la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore del’edificio, possano essere disposte tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.
Il quarto comma tuttavia pone delle limitazioni che, tra le altre, vede appunto anche quella del decoro architettonico.
Ma cos’è quindi il decoro architettonico?
Il decoro architettonico è rappresentato dall’insieme delle linee degli elementi architettonici e dagli ornamenti che, sia pur in modo semplice, caratterizzano l’estetica dell’edificio (Cass.Civ. n. 851/2007).
Da questa definizione si ricava che tale concetto di estetica non vada riferito solo agli immobili di particolare pregio storico-artistico, ma anche ai Condominii più semplici.
E non riguarda soltanto l’aspetto esterno del fabbricato, ma anche l’interno, ovvero scale, pianerottoli e tutto quanto vada ad imprimere all’immobile nel suo insieme una determinata fisionomia, unitaria ed armonica.
Il decoro architettonico è, in sostanza, un bene comune.
Chiarito ciò, ledere il decoro architettonico vuol dire quindi apportare un danno all’estetica dello stabile, ossia alterarla a tal punto da cagionare un deprezzamento dell’edificio (Cass. 1286/2010).
L’alterazione del decoro, dunque, per essere contestata, deve essere apprezzabile, ed è considerata tale quando si traduca “in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese, per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l’innovazione viene posta in essere” (Cass. 25 gennaio 2010 n. 1286).
Che cosa significa?
Che la valutazione dell’alterazione del decoro architettonico deve essere contestualizzata.
Il Giudice – l’unico soggetto legittimato a decidere se vi è stata una lesione del decoro architettonico – deve infatti considerare “le condizioni nelle quali versava l’edificio prima del contestato intervento, potendo anche giungersi a ritenere che l’ulteriore innovazione non abbia procurato un incremento lesivo, ove lo stabile fosse stato decisamente menomato dai precedenti lavori” (Cass. 11177/2017).
Perché solo un Giudice può stabilire se vi è stata una alterazione del decoro?
Perché trattandosi di un concetto che nulla ha di oggettivo, la valutazione dell’alterazione può solo essere fatta caso per caso secondo l’apprezzamento del giudice di merito.
Come si diceva sopra, l’art.1120 cod.civ. vieta le innovazioni deliberate dall’assemblea e lesive del decoro architettonico.
Non importa che tali innovazioni possano essere migliorative e accrescitive del valore del fabbricato.
Se vanno a ledere il decoro architettonico dell’edificio sono vietate e, di conseguenza, la relativa delibera assembleare dovrà essere impugnata.
Tipico esempio è quello del cappotto termico, opera finalizzata al miglioramento dell’efficienza energetica del Condominio, ma che se va ad incidere sull’estetica del fabbricato in maniera tale da determinarne il cambiamento, non può essere approvata dall’assemblea con le maggioranze richieste dall’art. 1120 cod.civ, ma soltanto con il consenso di tutti i comproprietari, quindi all’unanimità.
La modifica del decoro di uno stabile quindi può essere realizzata soltanto con un accordo unanime di tutti i condòmini, nessuno escluso.
E vi è di più.
La violazione del decoro architettonico può essere perpetrata non soltanto da un’innovazione deliberata dall’assemblea sulle parti comuni.
Ma anche dal singolo condòmino che realizza un’opera su parti di proprietà esclusiva, andando comunque ad incidere sul decoro dello stabile – bene comune – ed arrecando quindi un pregiudizio.
Dal momento che la violazione del decoro può essere frutto di comportamenti collettivi o individuali, sarebbe opportuno che il regolamento condominiale contrattuale (cioè quello predisposto dall’unico originario proprietario dell’edificio ed accettato con i singoli atti d’acquisto dai subentrati condomini ovvero adottato con il consenso unanime di questi ultimi in sede assembleare) specifichi al meglio quali comportamenti sono da considerarsi vietati (indicando espressamente delle specifiche condotte vietate ai fini del decoro architettonico).
Un regolamento condominiale assembleare invece (cioè quello votato a maggioranza dai condòmini) può solo disciplinare l’uso delle cose comuni in modo che ne sia preservato il decoro, per esempio stabilendo forma, dimensioni e luogo di posizionamento di targhe, fioriere, tendaggi etc…, ma non può certo vietarne l’installazione.
Con riferimento al regolamento condominiale contrattuale, la Cassazione (ordinanza n. 9957 del 27 maggio 2020) si è occupata del caso di un Condominio che aveva citato in giudizio alcuni condòmini per lavori di recupero del sottotetto, ritenuti lesivi del decoro architettonico e, pertanto vietati, sia ai sensi dell’art. 1120 cod. sia perché nel regolamento condominiale contenuto era contenuto un divieto identico a quello di cui all’art. 1120 cod.civ.
I condòmini citati in giudizio si costituivano sostenendo non solo di non aver arrecato alcun pregiudizio al decoro architettonico, ma anche di essere stati autorizzati con regolare delibera assembleare adottata a maggioranza.
In primo ed in secondo grado i condòmini convenuti ottenevano sentenze favorevoli.
La Corte di Cassazione invece ha ritenuto che, essendo quel regolamento condominiale di natura contrattuale, la delibera assembleare avente ad oggetto innovazioni incidenti sul decoro architettonico, non essendo stata adottata all’unanimità, non era idonea a modificare il regolamento medesimo.
Stabilito ciò, la Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Milano rinviando ad altra sezione della stessa per accertare se i lavori compiuti dai convenuti siano lesivi del regolamento condominiale.
Quanto appena evidenziato ci permette di rammentare che, per dottrina e giurisprudenza unanime, all’interno di un regolamento condominiale contrattuale possono coesistere clausole regolamentari e clausole negoziali: mentre le prime possono essere modificate a maggioranza, le secondo possono essere variate solo all’unanimità.
Hanno natura regolamentare quelle clausole che concernono le modalità d’uso delle cose comuni, e, in genere, l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali (ad esempio, la regolamentazione del gioco dei bambini nel cortile), mentre hanno natura negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini (ad esempio, quelle che vietano di adibire l’appartamento a sala da ballo, a studio medico, quelle che vietano il frazionamento delle unità immobiliari).
Mentre le clausole regolamentari possono essere approvate (e modificate) dall’assemblea a maggioranza in quanto, pur se inserite in un regolamento contrattuale, non differiscono, nella loro sostanza, da quelle oggetto di autoregolamentazione a maggioranza dell’organo assembleare, quelle negoziali, hanno carattere convenzionale poiché incidono sull’utilizzabilità e la destinazione delle parti di proprietà esclusiva e, se predisposte dall’originario proprietario dello stabile, devono essere accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto o con atti separati e la loro modifica presuppone il consenso unanime, dovendo, in difetto, considerarsi nulle perché eccedenti i limiti dei poteri dell’assemblea.
Ma vediamo ora concretamente alcuni esempi dai quali desumere se e quando vi possa essere alterazione del decoro architettonico, tale da determinare un pregiudizio economico, ossia una diminuzione del valore economico del fabbricato.
Con la dovuta premessa, già fatta sopra, che comunque ogni caso è a sé. Ma anche se non è possibile generalizzare, dalle diverse pronunce di merito possono desumersi elementi utili da tenere in considerazione.
Cominciamo dalla facciata condominiale.
Il cambio di colore della facciata non costituisce un’innovazione e non è automaticamente da considerarsi un’alterazione del decoro architettonico dell’edificio.
Occorre infatti che vi sia una alterazione di grave e appariscente entità tale da cagionare un pregiudizio economicamente valutabile o comunque non compensabile con l’utilità che ne sia derivata.
In un caso esaminato dal Tribunale di Bari, ad esempio, un condòmino aveva impugnato la delibera assembleare con la quale era stata decisa “la tinteggiatura della facciata con il color bianco panna rispetto al preesistente color bianco semplice e che veniva praticata la pittura liscia rispetto a quella originaria graffiata”.
Il Tribunale ha stabilito che “tali interventi non alterano l’entità sostanziale della facciata condominiale, non turbano il preesistente decoro architettonico attesa la sostanziale identica colorazione ma, anzi, ne rendono più comodo e duraturo il godimento preservandone la colorazione, come noto, esposta alle intemperie e agli agenti atmosferici.
L’utilità tanto del color bianco panna quanto della pittura liscia – che facilita il fluire dell’acqua piovana rispetto al graffiato – è dunque innegabile” (Trib. Bari, sentenza 24 febbraio 2016 n. 1000).
Pensiamo poi al caso delle inferriate.
La tutela del decoro architettonico deve essere necessariamente rapportata al diritto dei condòmini alla propria sicurezza contro furti e/o tentativi di intrusione in genere.
Sicuramente nella scelta delle inferriate (fisse o cancelletti estensibili che siano) bisogna tenere conto dell’eventuale tipo di grata approvato dall’assemblea e, in ogni caso, vale sempre il criterio per cui un’eventuale alterazione del decoro deve essere appariscente e di non trascurabile entità, tale da provocare un pregiudizio suscettibile di valutazione economica.
Pertanto, un lieve mutamento dell’estetica, modesto e trascurabile al punto da escludere un pregiudizio economico, rende legittima una delibera avente ad oggetto l’installazione di inferriate anti intrusione, da cui deriva a tutti i condòmini un’evidente utilità.
Il Giudice, in ogni caso (non solo con riguardo alle inferriate), nell’apprezzare complessivamente il pregio dell’edificio, tiene conto anche della presenza di altre strutture installate e/o di preesistenti interventi modificativi.
Pensiamo ad esempio, a facciate che presentano stenditoi di ogni genere e specie, tende parasole di vario colore, tettoie, grigliati in legno, etc…
E se un regolamento condominiale contrattuale vieta espressamente l’installazione di inferriate?
In teoria ogni condòmino è tenuto a rispettare la clausola, ma non è da escludere che un Giudice possa ritenerla in contrasto con il diritto alla sicurezza che spetta ad ogni condòmino nella propria abitazione privata.
E per quanto riguarda le canne fumarie?
La Corte di Cassazione richiama un principio più volte affermato, ovvero che l’utilizzo di parti comuni dell’edificio condominiale con impianti destinati a servizio esclusivo di un’unità immobiliare di proprietà individuale (nella specie: installazione di una canna fumaria a servizio di attività commerciale) esige il rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 cod.civ.
Questo articolo stabilisce che ciascun condòmino può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Premesso ciò, secondo la Corte di Cassazione anche per le modifiche apportate dal singolo condòmino sulle parti comuni nel rispetto dell’art. 1102 cod.civ., si applica il divieto di alterare il decoro architettonico del palazzo sancito in tema di innovazioni dall’art. 1120 cod.civ..
Nello specifico,l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale del fabbricato è una modifica della cosa comune che, anche se conforme alla destinazione della stessa, ciascun condòmino può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico.
Per la Cassazione, l’alterazione del decoro si ha non già quando vengono mutate le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta in senso negativo sul complessivo aspetto armonico dell’edificio.
Come si sarà potuto intuire, i contenziosi sul decoro architettonico in Condominio sono numerosi e riguardano le più svariate ipotesi, non solo quindi quelle in tema di colore della facciata, inferriate o canne fumarie.
Pensiamo infatti, ancora, alle sopraelevazioni, alle pensiline, alle verande, ai condizionatori in facciata e così via.
Ad ogni buon conto, l’unico dato di fatto certo è che la valutazione sull’esistenza di un’alterazione del decoro architettonico spetta esclusivamente al Giudice e a nessun altro.
4 risposte
Sul decoro di una facciata con alcune balconate chiuse da strutture fisse in alluminio e su alcune finestre e balconi al davanti delle tapparelle la presenza di infissi in alluminio di diverso colore ,quanto può incidere su un piano tapparelle di colore bianco panna e non marroni (peraltro nuove e non scrostate come quelle mattoni ) sull estrtiva e decoro delle facciate ?
Buonasera,
la Sua descrizione purtroppo non è molto chiara. Se abbiamo compreso, esistono già infissi di vario colore sulla facciata condominiale e Lei vorrebbe installare tapparelle di colore bianco, mentre quelle esistenti già in condominio sono marroni (seppur di diverse tonalità di marrone). Tenendo presente che il decoro architettonico non è un concetto oggettivo, ad ogni modo, al fine di evitare problematiche, sconsigliamo vivamente di installare tapparelle di colore totalmente diverso (bianco) da quello adottato in condominio (marrone).
Cordiali saluti.
Salve,
vivo in un condominio nel quale un condomino abitante sopra il mio appartamento (quindi stessa metratura) nel locale salone ha installato una porta finestra a due ante (mentre invece originariamente erano 3 come nella mia); la porta finestra non è a filo facciata ma è circa 3 metri all’interno del parapetto del balcone (trattasi di balcone incassato e non aggettante).
Può configurarsi in questo caso la lesione del decoro architettonico? In tal caso è possibile invitare il condomino a ripristinare la porta finestra originaria e quindi a 3 ante?
Cordialità
Buongiorno,
probabilmente il Suo vicino ha sostituito l’originaria finestra a 3 ante con una scorrevole a 2 ante. Ad ogni modo non è possibile affermare se ci sia stata una lesione del decoro architettonico solo da quello che scrive. Bisognerebbe visionare le foto, non essendo comunque quello del decoro un concetto oggettivo. Questo per dire che ci sono dei casi in cui è palese e pacifica la violazione (per cui l’esito vittorioso di un eventuale giudizio è molto probabile, anche se mai certo). Mentre in altri casi non ci sono i presupposti oppure, ancora, la modifica non costituisce lesione.
Cordiali saluti.